
Le persone NON sono al centro. Sono in Relazione.
Sarebbe strano se fino a oggi tu non l’avessi ancora intercettata navigando siti aziendali, leggendo un bilancio sociale o ascoltando un intervento a un convegno HR. “Le persone al centro” è una frase rassicurante, piacevole, perfettamente instagrammabile. Ripetuta e ripetuta più volte e in diversi contesti, tanto da essere percepita ormai più come un cliché che un valore aziendale.
Ma per noi di KaleidoHub è da tempo una “formula” logora, vuota, poco coraggiosa. Un modo di dire abusato e per questo poco credibile.
Dopo vent’anni di lavoro nella cultura organizzativa e nella formazione abbiamo messo in discussione questo “mantra”, ne avevamo bisogno. Non per snobismo o cinismo, caratteristiche molto lontane da noi e dal nostro approccio, ma per responsabilità: se vogliamo prenderci davvero cura del lavoro e delle relazioni che lo abitano, dobbiamo scegliere le parole (che ci raccontano) con consapevolezza.
Perché non ci riconosciamo in “le persone al centro”
Questa espressione ha smesso da tempo di raccontare qualcosa di autentico. I motivi per cui, secondo noi, non funziona più includono la sua genericità, l’incoerenza con la realtà organizzativa, il tono paternalistico e la mancanza di azioni misurabili. Ecco perché sentiamo il bisogno di superarla.
“Le persone al centro” è un ossimoro organizzativo
Un’organizzazione, per definizione, ha bisogno di una struttura gerarchica e di obiettivi di business. Mettere “le persone al centro” significa ignorare che esistono stakeholders, clienti, mercato, sostenibilità economica. È impossibile che tutto ruoti attorno alle persone quando ci sono KPI da raggiungere, budget da rispettare e risultati da consegnare. È una contraddizione sistemica che nessuno ha il coraggio di ammettere.
“Le persone al centro” deresponsabilizza il management
Questa frase è diventata il perfetto alibi per manager che non sanno gestire le persone. “Noi mettiamo le persone al centro” diventa il mantra per giustificare decisioni prese senza consultare nessuno, tagli improvvisi mascherati da “riorganizzazioni” e benefit simbolici che costano poco ma fanno bella figura. È la versione corporate del “lo faccio per il tuo bene”.
“Le persone al centro” suona intrinsecamente paternalistico
Implica che le persone siano oggetti da posizionare da qualche parte, non soggetti attivi con una propria identità, autonomia, idea di futuro. Sottintende un’idea di cura verticale: ti metto al centro io, decido io per te. Le persone non sono attori e attrici da sistemare al centro del teatrino aziendale, ma bensì professioniste e professionisti con competenze, ambizioni e la capacità di negoziare il proprio ruolo nell’organizzazione.
“Le persone al centro” non misura nulla di concreto
Non esiste un KPI per “essere al centro”. È una dichiarazione di intenti vuota che non si traduce mai in metriche verificabili. Quante aziende che proclamano questo principio misurano davvero l’engagement, il benessere, la crescita professionale o l’equità salariale? È retorica senza sostanza, marketing interno irresponsabile. Resta solo una bella frase.
“Le persone al centro” ignora la complessità delle relazioni lavorative
Il lavoro non è, e non deve essere, soltanto un luogo di autorealizzazione personale. È un contratto di scambio: competenze contro compenso, tempo contro valore, contributo contro crescita. Pretendere che tutto ruoti attorno al benessere individuale nega la natura intrinsecamente collaborativa e talvolta conflittuale del lavoro in team e organizzazioni complesse.
“Persone in Relazione” è la nostra lettura alternativa
Preferiamo parlare di persone in relazione perché è dalla relazione che si genera benessere, innovazione, impatto.
Le persone non sono al centro di nulla ma partecipano in un ecosistema complesso fatto di relazioni, obiettivi, ruoli, opportunità. Ogni persona è allo stesso tempo collega, dipendente, cliente, partner, manager. Ognuna e ognuno porta interessi diversi, crea collegamenti, obiettivi condivisi, a volte dissenso.
La cultura aziendale si sviluppa insieme, giorno dopo giorno, nel modo in cui le persone si relazionano.
Il benessere organizzativo nasce dalla qualità e dal senso di queste connessioni, non dall’essere “al centro”. E l’equilibrio dinamico tra le esigenze individuali, di team e di business genera risultati.
Il nostro approccio: Il Metodo Relazionale KaleidoHub
Con il nostro lavoro portiamo nelle organizzazioni strumenti concreti per costruire relazioni di valore che generano partecipazione, responsabilità e cambiamento:
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Audit relazionale
Mappiamo le connessioni informali tra le persone: chi parla con chi, dove si inceppa il dialogo, quali reti funzionano davvero (oltre L’organigramma).
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Contratti relazionali
Sostituiamo le job description con contratti relazionali dinamici che definiscono non solo cosa fa una persona, ma come si relaziona con gli altri ruoli, quali sono le interdipendenze e come evolve il suo contributo nel tempo.
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Performance relazionale
Non misuriamo solo i risultati individuali, ma anche l’impatto sul lavoro altrui: come aiuti gli altri a crescere, a risolvere, a decidere?
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Sviluppo situato
Sostituiamo i piani di carriera “ideali” con percorsi di evoluzione reali, ancorati ai contesti relazionali e ai contributi possibili.
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Leadership distribuita
Formiamo leader capaci di abilitare il potenziale degli altri, non di metterli al centro. Leader che fanno da ponte, non da perno.
Le persone non hanno bisogno di essere messe al centro. Hanno bisogno di relazioni di qualità, ruoli chiari ma flessibili, feedback continui e spazi di negoziazione per il proprio contributo all’organizzazione.
Con il nostro lavoro non creiamo illusioni di centralità, ma progettiamo contesti relazionali dove le persone possano esprimere il loro potenziale professionale in modo autentico e sostenibile, per sé e per l’organizzazione.