Buonismo e Benessere in azienda: riconoscere le differenze
“Le persone hanno maggiore probabilità di stare bene al lavoro solo se evitano i confronti e acconsentono alle direttive senza dire la propria opinione.”
“Fatti scivolare addosso critiche e pettegolezzi, quindi: avere pensieri anche al lavoro non ne vale proprio la pena!”
Quante volte abbiamo sentito (o applicato) questa filosofia in azienda?
E se non fosse così per tutti e tutte?
Purtroppo, nelle organizzazioni si pensa ancora molto spesso che avere cura del benessere delle persone significhi adottare un atteggiamento accomodante e remissivo. In entrambe le direzioni: sia dall’alto, con mancanza di decisioni e azioni concrete da parte dei ruoli apicali, che dal basso, con conseguente apatia e poca partecipazione generale.
Questo reciproco buonismo, alla lunga, indebolisce la fiducia nelle relazioni e squalifica la resa della performance.
La differenza tra essere gentili ed essere inefficaci è tanto profonda da non essere sempre percepita. La buona notizia è che si può essere efficaci restando gentili. Il benessere organizzativo nasce dall’onestà relazionale, dal definire cioè confini e valori in modo chiaro, responsabile e condiviso. Anche qui, in entrambe le direzioni.
Quando il buonismo diventa tossico in azienda
La paura di dispiacere e di compromettere la relazione con l’altra/o, il timore di innescare il conflitto o l’ansia di non essere “il capo/la leader” gentile spinge a indulgere.
Questo atteggiamento apparentemente neutrale non deve confondersi con la gentilezza, l’empatia o l’inclusione. Il buonismo è una forma di deresponsabilizzazione che ha costi altissimi per l’azienda.
- Feedback poco chiari
Minimizzare gli errori “per non ferire” è la strada più breve per vederli ripetuti, vanificando la crescita. - Regole ambigue
Le eccezioni continue rompono la fiducia e creano una forte percezione di favoritismo e iniquità. - Conflitti evitati e non risolti
Le tensioni nascoste non spariscono, ma bensì fermentano, esplodendo in momenti successivi con maggiore intensità e conseguenti danni relazionali. - Decisioni rimandate
Cercare il consenso totale porta a lentezza, confusione sui ruoli e, paradossalmente, a decisioni meno efficaci.
Il risultato del buonismo come atteggiamento neutrale è il calo delle performance e un sovraccarico ingiusto di chi si trova a compensare chi non rispetta gli accordi.
Il clima diventa ambiguo e di disagio, non si sa più cosa sia davvero accettabile e cosa no: la strada giusta per il caos!
L’alternativa sostenibile: i confini della bontà
Stare bene al lavoro non significa evitare del tutto i momenti di tensione e di confronto, ma avere (conoscere, imparare, condividere) gli strumenti utili per la gestione e il supporto necessari, con la consapevolezza di essere in un ambiente sicuro e strutturato.
Significa definire i confini della “bontà”, propria e altrui, e sperimentare l’empatia assertiva.
Ecco alcune pratiche concrete per praticare una fermezza rispettosa e gentile e coltivare la fiducia tra le persone.
- Feedback onesti e rispettosi
Quando correggi basati sui fatti specifici, non sull’interpretazione.
Lavora per definire insieme il prossimo passo da fare, comunicando chiaramente che, pur apprezzando l’opinione, è necessario un allineamento sull’azione per raggiungere il risultato concordato. - Responsabilità condivisa e misurabile
Dare supporto è positivo, ma quando si richiede accountability coinvolge le persone ad attivarsi e partecipare responsabilmente.
Stabilisci obiettivi, tempi e follow-up chiari. Il benessere passa anche dal sapere che il contributo di ognuna, ognuno è misurato e atteso. - Confini chiari e paritari
Aiutare chi ha bisogno è più che corretto, ma deve avvenire con criteri espliciti e uguali per tutte e tutti. Se fai un’eccezione spiega il motivo per evitare la percezione di favoritismi. - Ascolta bene prima di formulare (erronee) valutazioni
Usare l’empatia non significa dover approvare sempre e tutto, bensì ascoltare a fondo (oltre le parole) per capire la radice della difficoltà. Prima di proporre una soluzione o un confine, lascia spazio al racconto e alla prospettiva altrui. - Promuovere l’autonomia con il dialogo
La fiducia cresce quando le persone possono discutere apertamente il proprio ruolo e il proprio contributo. Evita di imporre la tua soluzione e alla modalità top-down preferisci il coinvolgimento con proposte che promuovono l’autonomia. - Celebra l’impegno e l’apprendimento
Riconosci con generosità i progressi (anche piccoli) delle persone che lavorano con te e celebra gli errori che hanno portato un insegnamento, una crescita. Agisci invece su quelli dovuti a irresponsabilità.
Riconoscere che impegno e apprendimento non sono sempre lineari è un atto concreto di gentilezza che alimenta la motivazione e la partecipazione attiva.
Il vero obiettivo: le relazioni
Una leadership efficace non si misura nel rendere tutte e tutti felici a qualsiasi costo. Si conquista credibilità e stima quando si riesce a creare e promuovere un contesto relazionale sano, sicuro e di conseguenza produttivo.
La gentilezza è efficace se supportata dalla trasparenza e dall’assertività. Significa saper comunicare (da una parte) e reggere (dall’altra) un confine, un no o un feedback onesto e diretto, nel rispetto dei diritti, dei sentimenti e delle opinioni altrui. Con la consapevolezza che anche i momenti di disagio stanno costruendo qualcosa di più solido e duraturo per tutte e tutti.
Nei nostri luoghi di lavoro, come in quelli personali, la qualità delle relazioni determina il livello di fiducia reciproca, la motivazione a contribuire con la propria parte, la soddisfazione nel crescere come professionista e come persona.
In definitiva, alla nostra felicità.
La tua azienda è un luogo di buonismo accomodante o di benessere basato sulla trasparenza di comunicazione e confini?
Se senti che la tua organizzazione ha bisogno di dirigere la bussola verso un’autentica cultura del benessere, scrivici o consulta la nostra Pagina Servizi: insieme possiamo far fiorire le persone del tuo team!

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